Fabrizio e Tommaso si incontrano con Anna, che si è trasferita a Vienna e parla delle differenze che ci sono tra l'Italia e l'Austria. In serata trovano altri ragazzi incontrati il giorno prima al Pe.sco e finiscono tutti ad una festa caraibica.

Eurotrip s01e18 - Vienna.

Il tema della fuga degli italiani all'estero era uno di quelli che più mi stava a cuore quando pianificavo di Eurotrip. Il problema di inserirlo nella narrazione era legato al fatto che le riprese, in base a come era studiato il format, dovevano essere il più improvvisate possibili e Tommaso e Fabrizio non avevano quasi nessun contatto nelle città che dovevamo visitare.

Nel creare la scaletta del viaggio Bratislava-Vienna mi imbattei in un blog chiamato Qui Vienna che parlava della comunità degli italiani che vivevano nella Capitale austriaca.

La scelta che feci non fu quella classica della produzione TV, per quanto in quel momento mirassi ad andare in televisione e ci fossero dei contatti molto ben avviati in quel senso: non contattai quindi il proprietario del sito chiedendogli un appuntamento.

Scoprii semplicemente che le persone che facevano riferimento al blog si riunivano ogni settimana in un locale del centro e lì andammo senza prima annunciarci.

Così ne venne fuori un incontro tale e quale a come sarebbe stato se non avessimo avuto la telecamera e che meglio di ogni altro ci spiegò in cosa consisteva la fuga dall'Italia. Quel momento è diventato una parte del 16° episodio di Eurotrip (guardalo), ovvero l'antefatto del video qui sopra.

Chi sono i cervelli in fuga

Un comico genovese, nei suoi tour, faceva notare che in Italia importiamo muratori ed esportiamo laureati, cosa che, al di là delle posizioni per partito preso che vanno di moda di questi tempi, non è oggettivamente un fatto sano per il Paese.

La fuga dei cervelli non riguarda solo l'élite di persone di cui di solito i media parlano per descrivere il fenomeno: giovani, tendenzialmente ricercatori universitari che, dopo essersi viste chiuse tutte le opportunità professionali, sono costretti a scappare perché sia fatta giustizia alle loro capacità.

Come dimostra la storia della ragazza del video qui sopra (o quella del barista piemontese emigrato a Barcellona: guarda l'episodio), si tratta anche di persone che se ne vanno per fare lavori del tutto normali, perché nei Paesi di destinazione questi vengono svolti con condizioni più favorevoli, sia nell'ambiente professionale in sé, sia perché andandosene possono beneficiare della qualità di vita migliore che c'è nei luoghi dove emigrano.

Un'italiano all'estero che fa il barista a Barcellona

Cosa spinge gli italiani all'estero?

Se si volesse spiegare perché certi italiani fuggono all'estero, basterebbe mettersi nei panni di chi ha fatto dei concorsi universitari e non li ha passati, indipendentemente dal merito che queste persone hanno. Quando i media riportano uno scandalo stile figlio del professore universitario che ha ottenuto la cattedra nella stessa Università del padre perché qualcuno lo ha aiutato nei test, la domanda non dovrebbe essere:

Perché scappare all'estero?

ma:

Perché rimanere in Italia?

Non tanto per lo scandalo in sé, visto che la corruzione esiste dappertutto, ma per il fatto che tutti gli altri docenti, non direttamente coinvolti nel malaffare, sanno quello che succede e fanno finta di niente. Gli stessi professori che ad ogni tentativo di riforma dell'Università sbandierano la fine della democrazia.

Che futuro può avere un Paese del genere per tutti coloro che non sono ladri, corruttori o beneficiari di chissà quale rendita che si tramanda per motivi di parentela?

La ricetta per un Paese migliore

Si fa sempre un gran parlare di come aumentare il PIL e di quale manovra finanziaria creativa inventarsi per far svoltare l'economia del Paese. Basterebbe fare qualcosa per incentivare i 5 milioni di italiani che vivono all'estero a tornare, e si risolverebbero quasi tutti i problemi.

In un economia che sarà sempre più liquida, non è più vero che si va all'estero solo perché qui manca il lavoro. Avendo un business completamente digitale, vedo che la gran parte dei miei colleghi è scappata, pur non avendo grossi svantaggi dal continuare ad esercitare la propria professione dall'Italia.

Non se ne vanno per colpa della burocrazia, della tassazione o della mentalità chiusa, perché, almeno le prime due cose, sono sopportabili se si ha un business che funziona.

Io per primo, al prezzo di qualche centinaio di euro al mese, delego tutte le scartoffie ad una commercialista che mi toglie il mal di fegato generato dall'incapacità della politica di creare delle regole al passo coi tempi.

Non solo colpa delle tasse

Se poi mi si parla di tasse, ricordo che in Francia e in Nord Europa stanno molto peggio di noi e, se si ha un business che genera un reddito superiore alla soglia di sopravvivenza, si accetta anche di pagare più imposte in cambio della qualità di vita che permette di avere il Paese in cui si vive.

Il problema della fuga degli italiani all'estero è la società che si trovano davanti quando la sera smettono di lavorare ed escono di casa.

Sono questioni che non è facile risolvere e che vanno dalla già citata assenza di credibilità delle Istituzioni nel selezionare i talenti, a cose più banali, che sommate però cambiano la vita: la gente che ti passa davanti nella fila, l'incapacità dello Stato di sanzionare chi sbaglia e, in generale, la consapevolezza che in Italia, chi rispetta le regole, perde, mentre i furbetti vincono sempre.

Non solo cervelli in fuga

Per un Italiano che viene dalla Provincia, alcune possibilità professionali esistono solo a Milano. Per quelli ancora più ambiziosi, Milano può diventare piccola e allora bisogna scappare a Londra, o a Dubai o New York. Quel genere di emigrazione non è contrastabile, perché certi lavori, almeno per il momento, non si possono fare da noi.

Quel genere di Italiani all'estero che apre un ristorante o una pizzeria a Chicago o nella Germania rurale potrebbe però essere incentivato a tornare a casa. Basterebbe eliminare quei freni alle capacità imprenditoriali che dalle nostre parti vengono messi a tutti coloro che hanno voglia di fare.

Una storia emblematica

C'è una storia che ho ascoltato recentemente e che mi ha molto colpito. Riguardo un imprenditore della ristorazione che è scappato dall'Italia.  Si chiama Stefano Versace, e la potete leggere nel suo blog.

Aveva un locale in Umbria che stentava a decollare. Una sera riceve la visita dei NAS che trovano tutto in regola, tranne il cartello Vietato Fumare che manca, e per questo gli appioppano una multa. A quel punto, giustamente, si stufa e se ne va. Si trasferisce negli USA, apre una prima gelateria e un paio d'anni dopo si trova con una catena di locali e con decine di milioni di dollari di fatturato.

La sua storia è l'emblema del perché le cose da noi non funzionano.

Una squadra di pubblici ufficiali blocca un'attività per una sera, non trova nessuna grave infrazione, ma per giustificare l'uscita appioppa una multa per una stupidaggine. Questo avviene in un contesto dove fuori dal ristorante del sanzionato, come oramai in ogni strada d'Italia, ci sono i più gravi abusivismi che chi è pagato per controllare finge di non vedere.

Con Stefano Versace l'Italia ha perso un talento che avrebbe fatto bene all'intero Paese, ma continua contemporaneamente a dire a tutti coloro che vogliono fregare le regole di venire qui, perché tanto l'avranno sempre vinta.

Ci si chiede perché gli Italiani sono costretti a scappare all'estero?

Ci si metta nei panni di Stefano Versace la sera che i NAS lo hanno multato perché non aveva esposto il cartello Vietato Fumare. E se ancora si fa fatica a capirlo, lo si guardi oggi nel suo attico di Miami mentre pianifica quali saranno le prossime gelaterie da aprire.

Come sono visti gli italiani all'estero?

Persona che si avvicina a Fabrizio e Tommaso di Eurotrip per chiedere della mafia, a testimonianza di come sono visti gli italiani all'estero

Con Fabrizio e Tommaso eravamo a Bratislava al Castello di Devin (guarda l'episodio). Ad un certo punto si avvicina una signora con i tratti asiatici che abitava in centro a Londra.

Scopre che Tommaso è Siciliano e, in vista di un viaggio nella sua regione, gli chiede se i turisti devono aver paura della mafia quando vanno da quelle parti.

Da gentiluomo Tommaso risponde garbatamente, ma vi giuro che tutti e tre eravamo rossi dalla rabbia per almeno mezz'ora.

Viviamo tempi politicamente corretti, dove, social a parte, non si può scherzare sugli stereotipi dei Cittadini di nessuna parte del mondo. Se siete Italiani sappiate però che, anche se:

  • non parlate a voce alta per strada;
  • non avete parenti affiliati alla criminalità organizzata;
  • non sapete cucinare

fino a che non dimostrate il contrario, gli stranieri, nella riservatezza dei loro pensieri, vi considereranno sempre come se foste gli italoamericani dei film di Martin Scorsese.

Io, che ero a Devin quel giorno e che ero molto arrabbiato per quella domanda, sono il primo ad ammettere che una parte di quell'idea ce la meritiamo, perché quando sono all'estero e sale sull'autobus un gruppo di Italiani che, nel silenzio civico dei presenti, inizia ad urlare più forte di un pescivendolo a Campo de' Fiori, spero che nessuno degli altri passeggeri riconosca i miei tratti somatici e mi associ a loro.

E' anche vero però, che in tempi di pre-globalizzazione, quando a girare il mondo per turismo erano solo i nordamericani, i giapponesi e gli europei occidentali, in tema di maleducazione ce la giocavamo solo con i francesi.

Oggi, che le frontiere sono spalancate, per demerito degli altri e non per merito nostro, abbiamo oggettivamente guadagnato la mezza classifica.